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Edwige Fenech: nascita di un’icona sexy

Un fascino sontuoso, uno sguardo da gatta magnetico ed intrigante, un corpo dalle forme perfette. Edwige Fenech,  nata nell’Algeria francese da madre di origini siciliane e padre maltese il 24 Dicembre 1948, cresciuta a Nizza come una francesina DOC,  è indiscutibilmente una delle icone sexy del nostro immaginario cinematografico, grazie a titoli diventati negli anni dei CULT indiscutibili, che hanno fatto girare la testa a milioni di spettatori e si sono impressi nella memoria della nostra cultura popolare.  Grazie a Federal Video CG Entertainment distribuisce nuovamente due punte di diamante della sua carriera, il decamerotico che contribuì al lancio della sua popolarità, Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda di Mariano Laurenti (1972) e la commedia sexy degli equivoci Giovannona coscia lunga, disonorata con onore di Sergio Martino (1973), entrambi al fianco del mattatore Pippo Franco. Per l’occasione, ripercorriamo i tratti salienti del suo percorso cinematografico, iniziato per caso il giorno in cui un talent scout la notò per le strade di Nizza e la trascinò letteralmente a girare una piccola parte nel film di Norbert Carbonnaux, Toutes folles de lui.  Per la quattordicenne Edwige fu un disastro: dovette ripetere 32 volte la sua unica battuta, e non ebbe mai il coraggio di rivedersi. Dopo aver vinto un concorso di bellezza in Francia, un altro talent scout la notò a Cortina dove vinse il titolo di Lady Europa: c’era un ruolo da protagonista questa volta per lei, e doveva assolutamente andare in Italia ad interpretarlo. Con l’avvallo del padre a meno che fosse la madre ad accompagnarla, Edwige si trasferì a Roma ed iniziò la sua avventura cinematografica. Il film era una pellicola per bambini di Guido Malatesta, Samoa, Regina della giungla (1968), seguito da Il figlio di Aquila nera, sempre di Malatesta (1968). Dopo questa esperienza emozionante e turbolenta (in Samoa la Fenech doveva sottoporsi ogni giorno ad un trucco che la rendesse color cioccolata, e ogni sera lei e la madre dovevano sudare sette camicie per toglierlo) Edwige vola in Germania, dove gira alcune pellicole che verranno poi distribuite in Italia con titoli ammiccanti e bizzarri come Susanna… ed i suoi dolci vizi alla corte del re (1968), Alle dame del castello piace molto fare quello (1969). Quello con i titoli, per la Fenech, è stato fin dall’inizio un rapporto contrastato: racconta di aver fatto delle litigate furenti con il marito produttore Luciano Martino quando era lui stesso a scegliere i titoli delle sue nuove pellicole, che a suo parere involgarivano i film e ne travisavano la trama: per l’Ubalda, la rabbia è durata talmente tanto che la Fenech si è da sempre rifiutata di vederlo, finché qualche anno fa non ha letto una recensione di Walter Veltroni (presumibilmente in Certi piccoli amori. Dizionario sentimentale di film, 1994) che lo segnalava dicendo che era un film da non perdere, e allora, facendosi coraggio, si è messa sul divano e una sera, su Italia 7,  si è rivista nei (pochi) panni decamerotici, piacendosi anche un bel po’.

Tornando alla storia, il primo film che la Fenech girò dopo essere tornata in Italia, fu in realtà un thriller diretto da un maestro del genere, Mario Bava: Cinque bambole per la luna di Agosto (1970), (Peccato che del film non mi ricordi molto, a parte che ballavo all’inizio e venivo uccisa presto. Però mi ricordo molto bene Mario. Era un uomo che all’epoca mi sembrava enorme: magro magro ma altissimo. Considera che ero una ragazzina e quest’uomo maturo era adorabile. Il ricordo che ho di lui è legato al suo cane. Lui adorava questo bassotto ed era buffo perché Mario era molto alto e faceva contrasto con questo cane basso basso. Avevano tutti e due un’aria da buoni, con questi occhi dolci e rasserenanti. Tutto il contrario dei film che ha fatto.) che inaugura il suo periodo giallo. A questo film seguirono Lo strano vizio della signora Wardh di Sergio Martino (1971), Perché quelle strane gocce di sangue sul corpo di Jennifer? (1972) di Giuliano Carnimeo fino a Nude per l’assassino di Andrea Bianchi (1975) con Nino Castelnuovo e Femi Benussi. Ma la parentesi thriller sexy fu solo uno dei tanti filoni in cui Edwige Fenech stava per immergersi, proprio grazie al grande successo del CULT di Mariano Laurenti Quel gran pezzo dell’Ubalda, tutta nuda e tutta calda, che, costato circa 90 milioni di lire, incassò ben 640 milioni di lire al botteghino e la lanciò nell’Olimpo delle star popolari più ricercate e fruttuose. Giovannona coscia lunga disonorata con onore diretto da Sergio Martino (1973), dove la nostra interpreta una prostituta ingaggiata come finta moglie dall’assistente (Pippo Franco) del commendatore La Noce (Gigi Ballista) per circuire un onorevole sessuomane (Vittorio Caprioli) superò il successo dell’Ubalda, arrivando ad incassare 827.000.000 di lire, un risultato anche per l’epoca strabiliante.  Da lì in poi la Fenech fu onnipresente in tutti i filoni esistenti della commedia sexy all’italiana, da il film ad episodi come 40 gradi all’ombra del lenzuolo (1976) sempre di Sergio Martino dove è indimenticabile ne La cavallona in coppia con un inedito, orbissimo, Tomas Milian, oppure Sabato, domenica, venerdì  (1979) di Sergio Martino, dove è ancora più stupefacente travestita da ingegnere giapponese a fianco di Lino Banfi nel primo episodio; alle saghe che l’hanno vista, per il suo aspetto più maturo rispetto a Gloria Guida, che di solito faceva la studentessa, diventare professoressa ( su tutti L’insegnante di Nando Cicero, 1975), poliziotta (La poliziotta fa carriera, 1976, La poliziotta della squadra  del buon costume, 1979 e La poliziotta a New York, 1981, di Michele Massimo Tarantini), soldatessa (La soldatessa alla visita militare, 1977 e La soldatessa alle grandi manovre, 1978, di Nando Cicero), ma anche semplice moglie avvenente che fa molta gola, come nel debutto alla regia del marito produttore Luciano Martino, La vergine, il toro e il capricorno (1977), o la semplice, focosa amante (La moglie in vacanza..l’amante in città, 1980, di Sergio Martino) in lotta con Barbara Bouchet.

Passano gli anni, e la Fenech si sente sempre più limitata dai ruoli che le vengono proposti: vorrebbe far vedere che sa fare anche l’attrice, oltre che la bella ragazza nuda sotto la doccia.  Con il ruolo di Deborah in Amori miei di Steno (1978), a fianco di Monica Vitti, sembra aprirsi per lei una nuova parentesi (Una cosa che non mi scorderò mai nella mia vita è l’emozione che ho provato la prima volta che nella mia vita vedevo dal vivo e dovevo recitare con Monica Vitti in Amori miei. Il primo giorno di lavorazione io mi trovavo così, di fronte a Monica, e dovevamo raccontarci cosa stava succedendo tra di noi e tra i nostri mariti. Avevo i capelli corti nel film ma non riuscivano a dargli forma perché ero talmente emozionata che i capelli mi ricascavano giù sul viso e continuavano a riportarmi al trucco per pettinarmi. Cioè, ero diventata elettrica dall’emozione. Infatti sui miei primi piani, in quella scena, ho il cappello calcato sul viso.) Steno la dirigerà di nuovo in Dottor Jekyll e gentile signora (1979) dove fa da spalla a Paolo Villaggio, e questo film seguiranno film d’autore come Il ladrone (1980) di Pasquale Festa Campanile, Sono fotogenico (1980) di Dino Risi, Io e Caterina (1980) di Alberto Sordi. Nonostante queste interpretazioni, però, la sua carriera come attrice a tutto tondo al cinema stenterà a decollare, e la metafora –omaggio che le dedica Adriano Celentano all’inizio di Asso,  che si apre con lui che la bacia, si volta e dice, guardando in macchina: “ Vi piacerebbe essere al mio posto, eh?”  è anche sintomatica di quello che è oramai Edwige Fenech nell’immaginario erotico italiano, volente e nolente. Dopo una svogliata partecipazione al cinepanettone Vacanze in America (1984) di Sergio Vanzina ed un piccolo ritorno con Ruggero Deodato in Un delitto poco comune (1988), la Fenech chiude con il cinema e si dedica alla televisione e alla produzione, cucendo da sola su di sé ruoli che sentiva, forse anche per il passare degli anni, appartenergli di più. Intanto, però, il suo mito cresce e germoglia, e passa a quell’America a cui aveva fieramente rinunciato (un film con Clint Eastwood, (?), e Fiori di cactus, nel ruolo che sarà poi di Goldie Hawn). Alla Mostra del Cinema di Venezia dove accompagnava Al Pacino con Il mercante di Venezia, che aveva prodotto, la Fenech viene invitata a cena da Quentin Tarantino e scopre che il mitico regista di Pulp Fiction conosce a memoria tutti i film gialli anni ’70 dove ha recitato e la idolatra come una dea. Dopo poco comincia a scriverle ininterottamente Eli Roth, che aveva da poco esordito con Hostel, e un giorno che si trova a Roma si presenta  da lei con tutti i dvd dei suoi film supplicando degli autografi. La Fenech accetterà quindi di fare un cammeo nel suo nuovo film, Hostel Part 2, con la produzione esecutiva dello stesso Tarantino.  Il cerchio si chiude. L’icona sexy che ambisce al cinema d’autore della sua epoca si stufa e si dà alla televisione, per poi tornare sul grande schermo celebrata dal nuovo cinema d’autore contemporaneo. E’ tutto caos? No, come ha detto la stessa Fenech, è tutto cinema.

“Per me, era tutto cinema. I film di Bergman e Samoa regina della giungla erano la stessa cosa… era tutto cinema… Che poi, forse, è anche il modo giusto di vedere i film, mettendoli tutti sullo stesso piano e poi dividendoli in film belli e film brutti.”

Tutte le dichiarazioni di Edwige Fenech sono tratte dall’intervista di Manlio Gomarasca all’attrice dal titolo Edwige Fenech: la donna assoluta su www.nocturno.it.

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