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Pablo Larraín in 5 film

Arriva al cinema Ema, l’ultimo film di uno dei registi più originali e apprezzati della cinematografia internazionale, il cileno Pablo Larraín.  Cogliamo  l’occasione per ripercorrere la sua carriera con i 5 film che per noi rappresentano al meglio uno stile che, in pochi anni (il suo esordio, Fuga, è del 2006), ha già delineato al meglio le sue coordinate.

 

1. Post Mortem (2010)

Si tratta del secondo film che Pablo Larraín dedica alla ricognizione di un momento storico del Cile che ha vissuto in prima persona e di cui il suo cinema porta le tracce: gli anni opprimenti della lunga dittatura di Augusto Pinochet. Protagonista il suo attore feticcio, Alfredo Castro, che, già apparso nell’esordio Fuga, era il protagonista anche di Tony Manero, premio come Miglior Film al Festival di Torino. Qui il colpo di Stato militare di Pinochet è vissuto attraverso gli occhi melliflui ed implacabili, nella loro incapacità di giudicare il presente e decifrare la realtà, di Mario Cornejo, un impiegato presso un obitorio di Santiago, che finirà con il trovarsi di fronte al corpo martoriato di Salvador Allende. LA CURIOSITA’ La ballerina di cui si innamora Mario è l’attrice Antonia Zegers, moglie del regista.

 

2. No – I giorni dell’arcobaleno ( 2012)

Con un balzo di 15 anni, Larraín approda dai bui esordi della dittatura di Pinochet al referendum del 1988, anno in cui il dittatore è costretto a chiedere un referendum sulla sua presidenza, concludendo la sua trilogia sulla storia del Cile. No – I giorni dell’arcobaleno, basato sull’opera teatrale El Plebiscito di Antonio Skarmeta, è incentrato sulla figura del giovane pubblicitario René Saavedra (un personaggio ispirato al realmente esistito Eugenio Garcia ed interpretato da Gael Garcia Bernal) che elaborerà un audace piano di comunicazione totalmente innovativo per liberare il paese dall’oppressione. LA CURIOSITA’ Il film è girato totalmente in 4:3 con una bassa qualità delle riprese voluta per ottenere un minore contrasto tra le scene realmente girate e le immagini di repertorio, frequentemente usate durante il film.

 

3. Il club (2015)

Con questo film, ambientato in una piccola comunità marina sulla costa del Cile, Pablo Larraín segna il punto più profondo e disturbante del suo scavo sulla nostra torbida umanità: 4 sacerdoti sono confinati in una comunità di recupero gestita da Madre Monica (sempre Antonia Segers) cercando di gestire frustrazioni e senso di colpa. Il loro fragilissimo equilibrio viene sconvolto dall’arrivo di Sandokan (Roberto Farías), che fa riemergere un passato fatti di abusi ed omertà. LA CURIOSITA’ Il film è caratterizzato dalla fotografia sgranata tipica della poetica di Larraín, che racconta di aver utilizzato obbiettivi utilizzati dallo stesso Tarkovskij e filtri per operare una trasfigurazione visiva rispetto a “ l’egemonia dell’alta definizione di oggi. Tutti i film assomigliano alle riprese sportive.”

 

4. Neruda (2016)

“Neruda per noi cileni è ovunque: nell’aria, nell’acqua, negli alberi. Ha definito il nostro paese e il nostro linguaggio come nessun altro”.  A 10 anni esatti dal suo esordio, Larraín realizza un progetto che aveva in cantiere da anni e che gli è stato suggerito dal fratello produttore Juan de Dios. Dare la voce ad un poeta immortale non era un compito semplice, ma grazie ad uno spostamento di prospettiva, e cioè non fare un film su Neruda, ma fare un film come se fosse una poesia di Neruda, il regista ha realizzato quanto di più lontano si può immaginare rispetto ad un biopic tradizionale, un vero e proprio poliziesco dell’anima, che vede Neruda/Luis Gnecco e Oscar Peluchonneau/Gael García Bernal, rincorrersi per tutta la pellicola giocando al gatto e al topo, tra immagini e parole. LA CURIOSITA’ Larraín ha lavorato sul progetto per 5 anni concentrandosi su 3 biografie selezionate sul poeta ed intervistando molte persone che l’hanno conosciuto. Suo fratello, il produttore, a causa del basso budget voleva costringerlo a tagliare 20 pagine della sceneggiatura, ma lui ha preferito tagliare sui costumi e sulle scene e realizzare il film così come lo aveva scritto.

 

5. Jackie (2016)

La prima produzione americana di Larraín, Jackie, ha incantato lo scorso Festival del cinema di Venezia. Oramai esperto delle analisi di porzioni fondamentali della nostra storia osservate da punti di vista eccentrici, Larraín, aiutato dalla sceneggiatura di Noah Oppenheim (Premio Osella a Venezia), ha costruito un altro biopic non convenzionale: l’omicidio del presidente deli Stati Uniti John F. Kennedy, avvenuto a Dallas in Texas nel 1963, visto attraverso gli occhi della moglie Jacqueline. Il pretesto per il quale si sviluppa il film che ripercorre i 4 giorni dall’omicidio al funerale di Stato del presidente, è un’intervista che l’ex first lady concede ad un reporter (interpretato da Billy Crudup). LA CURIOSITA’ Jackie è un lavoro su commissione. Larraín stesso ha spiegato che a proporgli l’incarico è stato Darren Aronofsky, produttore del film con la sua Protozoa Pictures. Accettando lo script, Larraín ha preteso che la protagonista fosse Natalie Portman, l’unica attrice che a suo parere era in grado di sostenere la parte.

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