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Fritz Lang: un ritratto

“ Innanzitutto dovrei dire: io sono una persona che guarda. Recepisco le esperienze solo attraverso gli occhi…”

Fritz Lang

 

Fritz Lang ha iniziato a puntare il suo sguardo sul mondo, per farlo diventare immagine artistica, fin da piccolo, quando, preda di una grave malattia, ha avuto una strana visione di un uomo incappucciato, un’ombra vestita di scuro, il fantoccio minaccioso che ha ossessionato il suo cinema (e influenzato quello degli altri) fino alla fine.

Un cinema, il suo, fatto di simboli, miti e, appunto, ossessioni. Come quella della rappresentazione metaforica della Morte, del Potere e del Tempo, temi che ricorrono nella sua filmografia fin dagli esordi, in pieno clima pre-nazista, e che, in maniera più pacata e ‘addomesticata’ possono essere scovati anche nei suoi film americani votati alla celebrazione di tutti i generi esistenti.

Dopo un esordio al cinema come sceneggiatore (sembra che Lang abbia iniziato a scrivere idee per film durante la lunga convalescenza da un infortunio riportato durante la prima guerra mondiale), Lang passa alla regia con Halb-Blut, nel 1918, ma il suo primo vero successo è senza dubbio Destino (1921), in cui si riconoscono tante delle suggestioni che esploderanno successivamente: la volontà dell’uomo soffocata da un fato avverso, che, come una mano che scende misteriosa dall’alto, rende vani tutti i suoi sforzi; la rappresentazione dell’orrore nascosto sotto forme ‘visivamente’ sopportabili per lo spettatore, ma non per questo meno inquietanti.

Fatale, per Fritz Lang, sarà anche l’incontro con Thea von Harbou, segnato fin da subito da un tragico evento: la prima moglie di Lang, scoperto il marito in compagnia della giovane collaboratrice, si suiciderà sparandosi al cuore un colpo di pistola, e secondo quello che riporta Lotte Eisner, in un primo momento il regista fu accusato di non averla soccorsa volutamente in tempo. Questo episodio ha segnato profondamente l’orizzonte immaginifico di Lang, che da lì in avanti disseminerà i suoi film di orologi, ticchettii e lancette, oltre a spingerlo a compilare giornalmente un meticoloso diario di tutti i suoi spostamenti e le sue azioni.

Il primo film realizzato in collaborazione con la scrittrice Von Harbou, e cioè Il dottor Mabuse (1922) è completamente dominato dall’ossessione del Tempo. Strutturato in due parti (prima, Il grande giocatore – Un quadro dell’epoca; seconda, Inferno: un ritratto degli uomini dell’epoca), il film mette in scena il malefico Mabuse, incarnazione del Male, e risente profondamente delle suggestioni dell’espressionismo, pur moderandone le tendenze visionarie ed astratte.

Questo film ed il successivo Il testamento del Dottor Mabuse (1933), con la rappresentazione di un superuomo criminale, folle per il delirio di onnipotenza e dominio sul mondo, sono stati più volte accostati al clima nazista che stava sempre più imperversando, e sarà lo stesso Fritz Lang ad accettare successivamente una lettura antinazista di queste opere.

Il film più celebre di Lang, considerato uno dei capolavori del cinema mondiale di sempre, è senza dubbio il meraviglioso Metropolis, realizzato in collaborazione con Thea von Harbou nel 1926.

Suggestionato da un recente viaggio in America, Lang realizza, prendendo spunto dall’immagine dell’avveniristica New York scorta dalla nave in cui era imbarcato, la ricostruzione di una vera e propria città del futuro, metafora esemplare del clima di terrore ed oppressione che aleggiava in Germania all’epoca e di un ordine sociale malsano, e film universalmente riconosciuto come modello principe del futuro cinema di fantascienza.

Un altro dei suoi indiscutibili capolavori è M, il mostro di Düsseldorf (1931), il suo primo film sonoro, che abbandona le suggestioni romanzesche che avevano caratterizzato i suoi film precedenti, e si ispira ad un fatto di cronaca. Un terribile omicida (interpretato magistralmente da Peter Lorre) si aggira per la città, uccidendo innocenti fanciulle e seminando il panico. Il film è un’ulteriore esempio di come Lang sia sempre stato estremamente affascinato dalla dialettica tra il Male e la Giustizia, eterni rivali in una lotta senza vincitori veri e propri.

L’ultimo film che Lang girò in Germania è il già citato Il testamento del Dottor Mabuse. Con la salita al potere del nazismo, infatti, sembra che lo stesso Joseph Goebbels  avesse offerto a Lang la direzione dell’industria cinematografica di regime, ma il regista, anche se attratto dall’offerta, decise all’ultimo di fuggire dalla patria, poiché i suoi film precedenti erano comunque stati osteggiati e vietati dal regime e Lang temeva un complotto ai suoi danni.

Separandosi per sempre da The Von Harbou, che decise di rimanere in Germania e collaborò con il regime nazista fino alla sua caduta, Lang si recò prima in Francia, dove giro la commedia ispirata al testo omonimo di F. Molnár, La leggenda di Lilion, per trasferirsi infine a Los Angeles, inaugurando una nuova e feconda fase della sua lunga carriera.

Nonostante sia un emigrato in un paese straniero, in un periodo storico tutt’altro che facile, Fritz Lang non si lascia sfuggire nemmeno in America la possibilità di parlare attraverso il cinema di Giustizia, Destino e di quello che per lui rappresentava il Male assoluto. Si possono infatti definire pellicole antinaziste il thriller spionistico Duello mortale (1941), ma anche e soprattutto Il prigioniero del terrore (1945), una spy-story dove ancora domina l’ossessione del passaggio del tempo, e Maschere e pugnali (1946), con Gary Cooper, ambientato durante la seconda guerra mondiale e polemico nei confronti dell’utilizzo della bomba atomica e Dietro la porta chiusa (1948), uno dei suoi film più preziosi, che sviluppa una tesa atmosfera a metà tra Hitchcock e Von Stenberg.

Lang, sempre negli stessi anni, si cimenta anche nel territorio del noir, con un dittico di tutto rispetto: La donna del ritratto (1945) e La strada scarlatta (1945), entrambi con protagonista un’icona del genere come Edward G. Robinson e caratterizzati da toni cupi e atmosfere oppressive che ricordano molto l’espressionismo tedesco più che i coevi risultati del noir hollywoodiano.

In entrambi, infatti, è del tutto assente quell’afflato realistico tipico del noir americano del secondo dopoguerra, mentre dominano la dimensione del Sogno (anzi, più propriamente dell’Incubo), e della Follia.

Nel 1940 dirige si avventura nel territorio del western, dirigendo Il vendicatore di Jess il bandito con Henry Fonda, che è anche il suo primo film a colori, mentre con Bassa marea, prodotto dalla Republic a basso costo e girato con attori poco noti, Fritz Lang realizza un piccolo gioiello del cinema fantastico, non priva di un certo, insolito per lui, romanticismo.

Nel clima gelido e avvelenato della “Caccia alle streghe”, Fritz Lang si troverà a doversi difendere dall’accusa di essere un simpatizzante comunista (principalmente per la sua amicizia con Bertold Brecht e il musicista Hanns Eisler), ma per fortuna la sua attività non ne risentì, e continuò a girare film ad un ritmo sostenuto: nel 1950 dirige il giallo I guerriglieri delle Filippine, nel 1952 il noir con Marylin Monroe La confessione della Signora Doyle, del 1953 è La Bestia Umana, remake hollywoodiano del capolavoro di Renoir ‘L’angelo del Male’ tratto da Zola, un dramma della gelosia in cui amore e colpa si intrecciano inesorabilmente; mentre nel 1956 Lang dirige un poliziesco perfettamente congegnato come Quando la città dorme (1956), penultimo film Hollywoodiano e uno dei suoi lavori più feroci e disillusi.

Nonostante sia riuscito a schivare l’oppressione maccartista, lavorare ad Hollywood dagli anni ’50 è sempre più difficile per Lang. Il declino dell’industria cinematografica rende sempre più difficile realizzare i film con la cura e la dedizione con cui il regista di origini austriache è abituato a lavorare. E’ per questo che Fritz Lang tornerà in Germania, dove completerà la sua carriera come regista con Il diabolico Dottor Mabuse (1960), ultima rappresentazione del folle criminale degli anni ’20 aggiornata ai nuovi “miti del progresso”, dipingendo un quadro inquietantemente anticipatorio del “Grande Fratello” televisivo.

Gli anni ’60 sono ricchi per Lang di riconoscimenti e premi dedicati alla sua carriera, ma non dirigerà più nessun film, anche perché sta gradualmente perdendo la vista.

Memorabile è la sua partecipazione al film di Jean Luc Godard, La mepris (Il disprezzo), dove recita nella parte di sé stesso alle prese con al trasposizione cinematografica dell’Odissea, e pronuncierà una frase che in qualche modo riassume un topos ricorrente nella sua filmografia: “Non è Dio che ha creato gli uomini, sono gli uomini ad aver creato Dio!”

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