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Breve incursione nell’opera di Peter Greenaway

Quando si parla di arte a 360° viene naturale parlare del regista di origine gallese Peter Greenaway, nato a Newport il 5 Aprile 1942, in assoluto uno dei più importanti registi sperimentali viventi. “Tutti i miei film parlano della classificazione del caos.” Ha dichiarato il regista, che si è più volte definito “un pittore su celluloide.”  La prima delle mille passioni del regista, infatti, è stata la pittura, ma, come dimostra il titolo della sua prima mostra personale di pittura, Eisenstein at Winter Palace (1964) dopo aver frequentato la Forest School di Londra, si è interessato anche al cinema: Eisenstein Ingmar Bergman tra tutti e poi la Nouvelle Vague, con una predilezione particolare per Jean-Luc Gordard, ma anche l’Antonioni de, L’avventura, La notte, L’eclisse.

Nel 1962, dopo aver studiato al Walthamstow College of Art, stringe amicizia con il musicista Ian Dury (che poi vorrà nel cast de Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante) e si avvicinerà all’arte dei murales per tre anni, diventando un esperto di affreschi.

Nel 1965, entra a far parte del Central Office of Information, lavorando come montatore e regista di film per oltre quindici anni.

Dopo una serie significativa ed imponente di cortometraggi, la poetica cinematografica di Greenaway è già delineata: tuttologo e ossessionato da tutte le forme artistiche, come un Dio – demiurgo opera una vera e propria catalogazione e accumulazione delle sue passioni all’interno del mezzo cinematografico, che fin dall’inizio considera uno strumento ideale per la sperimentazione ed interpolazione delle varie forme artistiche e filoni concettuali che lo interessano:  dai giardini barocchi ai tableaux vivants, dalla Land Art alla Body Art, senza contare la mitologia, i testi religiosi, e, infine, opere e autori immaginari. Del resto il suo pensiero è sempre stato questo: “Il cinema è una forma espressiva trasversale che attinge alle altre.” 

Il suo primo lungometraggio arriva nel 1980, Le cadute: ambientato in un mondo immaginario (appunto) narra di ben 92 protagonisti stravaganti i cui nomi iniziano tutti per Fall, hanno tutti paura di volare ma un amore incontrastato per i volatili. Ma il film che rivela Greenaway al pubblico internazionale come uno dei più ambiziosi e controversi registi dei nostri tempi è I misteri del giardino di Compton House (1982), un giallo borgesiano ambientato nel 1694, seguito dai lavori successivi, che consolidano questa reputazione: Lo zoo di venere (1985), dove si esplora il tema del doppio, Il ventre dell’architetto (1987), una riflessione sul concetto di corpo, e Giochi nell’acqua (1988), una commedia nera ritmata dalla decrescente apparizione dei numeri da 100 a 1, per la quale ha ottenuto il Premio della Giuria per il contributo artistico al Festival di Cannes.

Gli anni ’90 si aprono con L’ultima tempesta (1991), dove si confronta direttamente con Shakespeare, mentre con Il bambino di Mâcon (1993) indigna il pubblico cattolico criticando aspramente lo sfruttamento, che definisce quasi pornografico, delle reliquie e delle superstizioni da parte della Chiesa.  Più intimo, I racconti del cuscino (1996) pone le parole ed il sesso sullo stesso piano come simili dispensatori di piacere, Otto donne e mezzo (1999) rende un sentito omaggio al cinema di Federico Fellini esplorando ancora il rapporto tra sesso, colpa e piacere e ancora mettendo in scena personaggi femminili forti e manipolatori.

Già dagli anni ’90 Greenaway ha esplorato le potenzialità offerte dalle tecniche elettroniche dell’alta definizione: l’uso della tecnologia digitale negli anni 2000 lo ha spinto verso interpolazioni e sperimentazioni sempre più ardite, che gli hanno permesso di portare avanti il discorso di commistione tra mezzi fino alle estreme conseguenze. Dedicati ad un’esplorazione digitale della pittura sono sia Nightwatching (2007) che racconta la genesi del più celebre dipinto di Rembrandt, La ronda di notte, e il mirabolante Goltzius and the Pelican Company, che grazie a Lo Scrittoio CG Entertainment ha editato in un prezioso cofanetto contenente sia il film (in dvd o in Blu-ray) ed un volume con la sceneggiatura del film e i bozzetti preparatori ad opera dello stesso Greenaway.

Ecco la storia.  L’ olandese, Hendrik Goltzius, uno dei primi incisori di stampe erotiche del tardo Cinquecento, è alla ricerca di un finanziatore per riuscire a finalizzare il suo progetto: un libro d’illustrazioni di alcune tra le più controverse storie del Vecchio Testamento. Il margravio di Alsazia è disposto a donare la cifra richiesta, ma solo se Goltzius e la sua compagnia, The Pelican Company, lo convinceranno mettendo in scena dal vivo gli episodi biblici legati ai vizi capitali. La rappresentazione, quanto mai realistica, dei racconti legati ai tabù dell’incesto, dell’adulterio, della pedofilia, della prostituzione e necrofilia, innescherà dinamiche inattese nella corte alsaziana e all’interno della stessa compagnia. Goltzius and the Pelican Company raggiunge il massimo nell’ibridazione dei mezzi (pittorico, fotografico, elaborazione digitale) e mette al centro temi cari al regista: erotismo, sessualità ed i tabù a questi legati, il costante irrisolto conflitto tra religione e sesso, che sono solo l’innesco di una ricca perlustrazione e rappresentazione dei rapporti tra “riproducibilità tecnica”, modelli di fruizione e consumo virtuale del sesso. Come ha dichiarato lo stesso regista:

 

“Dalla pittura veneziana del XVI secolo al cinema del XIX secolo, fino all’avvento di internet negli anni ’80, tutto è sempre stato pregno di erotismo e pornografia. Ed anche al giorno d’oggi il mondo cibernetico/virtuale che crea una seconda vita ne è pieno. Ogni nuova tecnologia crea nuovi punti di vista e di conseguenza grande eccitazione in merito alla rappresentazione della sensualità”.

 

Dopo esservi immersi nel mondo affascinante e vorticoso di Goltzius and the Pelican Company, dal 1 Dicembre arriva in home video anche l’’ultimo lavoro cinematografico di Peter Greenaway, Eisenstein in Messico, che, partendo da un regista amato fin dagli esordi della sua carriera artistica, racconta una storia di formazione umana e sessuale: i 10 giorni che il regista di Sciopero e La corazzata Potemkin passò in America Latina per girare Que viva Mexico!, in compagnia della sua guida Palomino Cañedo, alla scoperta di una cultura lontana anni luce dalla propria e di qualcosa di sconosciuto del proprio rapporto con il sesso.

 

Vi proponiamo qui sotto una clip esclusiva tratta da Goltzius and the Pelican Company :

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