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Un omaggio al grande Totò

Sono passati 57 anni da quando Nino Manfredi annunciò con voce greve al telegiornale: “È morta l’ultima delle grandi maschere della commedia dell’arte.” Ripercorriamo assieme alcune delle tappe fondamentali della sua vita e della sua carriera da attore.

La storia di Antonio de Curtis, in arte Totò

Nonostante siano trascorsi così tanti anni dalla morte, il mito di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfiro-genito Gagliardi de Curtis di Bisanzio detto brevemente Antonio De Curtis nel privato, e Totò di fronte alle platee, non ha fatto altro che crescere, inscrivendo il suo profilo caratteristico (che leggenda vuole derivare dalla mano pesante di un severo professore) a caratteri cubitali nell’immaginario culturale della nostra Nazione.

E pensare che Totò nacque – a Napoli, rione Sanità, il 15 febbraio del 1898 – quasi senza nome, figlio di N. N. all’anagrafe, da una relazione clandestina della madre Anna Clemente ed il marchese Giuseppe De Curtis, che lo riconobbe e tornò con la madre solo quando il figlio era già più che ventenne.

Furono anni di povertà quelli dell’infanzia e dell’adolescenza per Totò, che non dimenticò mai le sue umili origini e tenne in maniera quasi maniacale ai suoi titoli (in parte acquisiti dal 2° padre, quello adottivo, il marchese Francesco Maria Gagliardi Focas) e alla sua impeccabile eleganza per tutta la vita. Insofferente alla disciplina scolastica, si svincolò presto dalle maglie di sua madre che, probabilmente per necessità, lo voleva sacerdote, e dimostrò fin da piccolo una grande natura istrionica, un interesse appassionato per il prossimo, soprattutto se strano. Per la sua attitudine a osservare, forse prendendo mentalmente appunti per i suoi futuri personaggi, era soprannominato “o spione.”.

I primi anni da attore di Totò

Incoraggiato dai timidi successi ottenuti nelle recite di famiglia, Totò iniziò la lenta e difficoltosa scalata che lo portò a diventare uno degli attori più richiesti, prima dell’avanspettacolo, e poi della rivista teatrale italiana e a lavorare al fianco di grandi personalità come Titina De Filippo, Mario Castellani (la sua “spalla” prediletta), Anna Magnani.

Il passaggio dal teatro – a cui sarà sempre fedele – al cinema avvenne lentamente, ma al suo culmine portò il pubblico a nutrire un amore viscerale per l’attore napoletano, arrivando addirittura a parlare di una vera e propria Totò-mania.

Un ruolo fondamentale lo ebbe Cesare Zavattini, che si interessò fin da subito a Totò, avendone scoperto la vena comica surreale con un fondo di malinconia e considerandola una potenzialità che al cinema avrebbe potuto brillare. Lo stesso Zavattini scrisse per lui un soggetto dal titolo Totò il buono, che non diventò mai un film, ma servì allo sceneggiatore come canovaccio per il capolavoro di Vittorio De Sica Miracolo a Milano.

L’esordio sul grande schermo non fu memorabile e avvenne per caso nel film della Titanus diretto da Gero Zambuto dal titolo Fermo con le mani! solo perché Goffredo Lombardo lo notò in un ristorante di Roma. A questo film seguì Animali pazzi di Carlo Ludovico Bragaglia, dove Totò sfruttò le sue abilità marionettistiche per interpretare un doppio ruolo.

Fu però con San Giovanni decollato, sceneggiato anche da Zavattini e diretto da Amleto Palermi, che Totò cominciò a ricevere i primi apprezzamenti dalla critica cinematografica, anche se il successo di pubblico non era paragonabile a quello ottenuto a teatro.Quelli che seguirono, furono anni difficili, data la guerra, il fascismo, la censura, poi l’occupazione tedesca. Totò si muoveva sempre al limite del lecito e nel 1944 rischiò grosso con Che ti sei messo in testa? che presenta chiari riferimenti ai tedeschi occupanti ed un’accennata parodia di Hitler. Totò fu denunciato e fu costretto a vivere in casa segregato fino al giorno della liberazione di Roma, il 2 Giugno.

Il successo cinematografico del Principe della Risata

Dal dopoguerra in poi la carriera di Totò non conobbe più arresti, se non quelli dovuti, purtroppo, ai suoi problemi agli occhi, che lo porteranno a diventare quasi del tutto cieco negli ultimi anni della sua vita.

Anche al cinema il successo è incontenibile: Totò fu diretto da Giorgio Simonelli per Due cuori fra le belve, riedito nel dopoguerra con il titolo Totò nella fossa dei leoni, Mario Mattoli ( I pompieri di Viggiù, Un turco napoletano, Il medico dei pazzi), Steno e Mario Monicelli ( Totò cerca casa, un’efficace parodia del neorealismo) Luigi Comencini (L’imperatore di Capri).

Gli amori di Totò

La vita sentimentale fu sempre burrascosa: famosa la liaison fatale con l’attrice Liliana Castagnola, che per amor suo si toglie la vita, causando a Totò un senso di colpa imperituro.

Dopo la morte dei genitori, Diana Rogliani – moglie e madre della figlia Liliana – con la quale continuava a convivere nonostante avessero sciolto il loro matrimonio in Ungheria, decise di abbandonare la sua casa e risposarsi. Così poco dopo fece la figlia, per sposare Gianni Buffardi, figliastro di Carlo Ludovico Bragalia. Totò rimase scosso e distrutto da questi abbandoni: sono gli anni in cui scrisse Malafemmena, che potrebbe essere dedicata sia a Diana che a Silvana Pampanini, attrice che in quel periodo ricevette una corte serrata dall’attore, senza risultato.

Guardie e ladri e gli altri successi

Il 1951 fu un anno importante per la carriera di Totò: Guardie e ladri di Steno e Mario Monicelli, che lo vide al fianco di Aldo Fabrizi, sua grande spalla, fu un grande successo di pubblico e di critica e gli valse un Nastro d’Argento.

Il 1952 fu segnato poi dall’incontro con la donna che gli sarà accanto fino alla morte, Franca Faldini, alla quale fa recapitare un biglietto dopo averla vista su una rivista: “Guardandola sulla copertina di Oggi mi sono sentito sbottare in cuore la primavera”. Da quel momento inseparabili, anche se spesso in litigio a causa dei loro caratteri molto simili. I due divisero il set in film come Dov’è la libertà? diretto da Roberto Rossellini e Totò e le donne, diretto da Steno e Monicelli, dove Totò incontrò per la prima volta Peppino De Filippo, suo partner in moltissime commedie.

Tra il 1953 ed il 1955 gira 17 film (tra cui I tre ladri di Lionello De Felice, Tempi nostri – Zibaldone n. 2 di Alessandro Blasetti, Siamo uomini o caporali? di Camillo Mastrocinque, Destinazione Piovarolo di Domenico Paolella).

Totò diventò quindi una star anche al cinema ed i suoi film grandi successi commerciali.

Lavorare sul set per lui non era facile: gli mancava il confronto diretto con il pubblico e molti registi solevano applaudirlo alla fine delle scene, per dargli un po’ di quel calore che gli mancava del palcoscenico). Inoltre le sue abitudini di vita erano quelle di un uomo di teatro: amava infatti l’improvvisazione e sosteneva che l’attore “al mattino non può far ridere”. Da qui la volontà di lavorare solo dalle 13 alle 21.

Totò inoltre era superstizioso in maniera ossessiva e non partiva né usciva di casa il martedì, il venerdì, i giorni 13 e 17 del mese. Spesso erano le troupe che si adeguavano a lui, raggiungendolo nelle città dove si stava esibendo a teatro e improvvisando set un po’ ovunque.

La grande coppia Totò e Peppino

Dopo aver recitato con Fernandel ne La legge è legge, nel 1958 fu diretto da Mario Monicelli del CULT I soliti ignoti al fianco di Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni.

Nonostante la salute e la vista di Totò continuassero a peggiorare, la sua attività non si arrestò, anzi aumentò durante gli anni ’60: Totò continuò a far coppia con Peppino De Filippo (Letto a tre piazze di Steno, I due marescialli di Sergio Corbucci, Totò e Peppino divisi a Berlino di Giorgio Bianchi) e collezionò una sfilza di film parodia di peplum (Totò contro Maciste, Totò e Cleopatra di Fernando Cerchio), altri film ( Totò, Peppino e…la dolce vita di Sergio Corbucci, Che fine ha fatto totò Baby? di Ottavio Alessi, Totò contro il pirata nero di Fernando Cerchio, Totò d’Arabia di José Antonio de la Loma) e generi sperimentali, come la nascente commedia sexy (Totò di notte n. 1 e Totò sexy di Mario Amendola).

Nonostante il grande successo di pubblico e commerciale, però solo alla fine della sua carriera Totò venne preso in considerazione per ruoli più impegnativi nel cinema così detto d’autore: nel 1965 Alberto Lattuada lo volle ne La mandragola e Federico Fellini lo ingaggiò nel suo progetto incompiuto, Il viaggio di G. Mastorna. Fu però Pier Paolo Pasolini a sfruttare al meglio il volto comico-tragico del grande attore in un film dove venne riconosciuta unanimemente la bravura di Totò: Uccellacci e uccellini, che fu presentato al Festival di Cannes e gli valse il suo secondo Nastro d’Argento. A questo film seguirono le partecipazioni di Totò nel cortometraggio La terra vista dalla luna, episodio del film collettivo Le streghe, tratto dal racconto di Pasolini mai pubblicato Il buro e la bura; poi Che cosa sono le nuvole? un episodio del film Capriccio all’italiana, dove l’attore prese parte anche a un altro corto di Steno: Il mostro della domenica.

Proprio durante le riprese de Il padre di famiglia, (dove era nuovamente al fianco di Nino Manfredi dopo Operazione San Gennaro di Dino Risi) Totò venne stroncato da un brutto ed improvviso infarto, quasi due giorni dopo che ebbe confessato al suo autista Carlo Cafiero: “Cafiè, non ti nascondo che stasera mi sento una vera schifezza”.

 

 

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