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L’aggettivo Federico Fellini

“Avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo. Ne sono lusingato. Cosa intendano gli americani con “felliniano” posso immaginarlo: opulento, stravagante, onirico, bizzarro, nevrotico, fregnacciaro. Ecco, fregnacciaro è il termine giusto.” (dall’intervista di Claudio Castellacci, L’America voleva colorare la Dolce vitaCorriere della sera, 30 marzo 1993, p. 33)

Scherzava così, Federico Fellini, dell’usanza oramai internazionalmente acquisita, di utilizzare il suo nome per definire un mood, uno stile, una poetica ben precisa. L’ironia ed il gusto per la boutade, oltre ad una grande modestia, hanno sempre caratterizzato la sua poliedrica personalità, un genio indiscusso, ad essere sinceri, che gli ha permesso di essere, ad oggi, uno dei registi più celebrati ed influenti della storia del cinema mondiale, e sicuramente colui che più di ogni altro è riuscito a tradurre sul grande schermo la levità del sogno e la drammaticità della vita.

Non faccio un film per dibattere tesi o sostenere teorie. Faccio un film alla stessa maniera in cui vivo un sogno. Che è affascinante finché rimane misterioso e allusivo ma che rischia di diventare insipido quando viene spiegato.” Intervista a Oggi, 1983.

Nel cinema di Fellini sogno e realtà dialogano continuamente, senza sancire mai, per partito preso, i loro rispettivi confini. Nonostante le derive fantastiche e sognanti delle sue pellicole, Fellini rimane un idealista pragmatico, totalmente indifferente ad un cinema impegnato ed indignato. “ll cinema non ha bisogno della grande idea, degli amori infiammati, degli sdegni: ti impone un solo obbligo quotidiano, quello di fare.”

Nel cinema di Fellini c’è anche, tantissimo, l’uomo Fellini, a partire dalla materia più intima, che è quella della rappresentazione dei suoi sogni ( che ha disegnato tutta la vita, vedi ….) fino alle sue passioni e manie: le donne, la nostalgia di un tempo oramai andato e di luoghi che non sono più come allora, la speranza sempre viva nella bontà e nel riscatto dell’essere umano. Del resto, come lui stesso ha detto con una delle sue espressioni perfette: “Sono autobiografico anche quando parlo di una sogliola.”

Nato a Rimini il 20 Gennaio del 1920 Federico Fellimi dimostra fin da ragazzo un grande talento creativo che esprime attraverso l’arte del disegno e del fumetto. Trasferitosi a Roma con la madre nel 1939 inizia a collaborare al Marc’Aurelio, la maggiore rivista satirica italiana, come vignettista e ideatore di numerose rubriche; contemporaneamente scrive molti copioni per il cinema, il teatro e la radio.

La sua carriera nascente come sceneggiatore è troncata dallo scoppio della guerra; durante l’occupazione Fellini vive nascosto in casa di una giovane attrice di rivista, Giulietta Masina, che sposerà nel 1943 e alla quale sarà legato sentimentalmente e artisticamente per tutta la vita. Dopo la liberazione Roberto Rossellini lo vuole come sceneggiatore per Roma città aperta: tra i due nasce subito un grande sodalizio che lo porterà collaborare come sceneggiatore (in coppia con Tullio Pinelli) e aiuto-regista di Rossellini fino a Europa ’51 (1952), prestandosi anche come attore nell’episodio Il miracolo del film L’amore del 1948.

Dopo l’esperienza di co-regia insieme ad Alberto Lattuada per Luci del varietà, l’esordio vero e proprio dietro la macchina da presa  arriva con Lo sceicco bianco (1952), una commedia parodistica sul mondo dei fotoromanzi con protagonista Alberto Sordi. Segue I vitelloni (1953) che narra le vicende di un gruppo di giovani scansafatiche di provincia: il film, grande successo di pubblico, ottiene il Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia e segna l’inizio della carriera cinematografica di Alberto Sordi. Dopo La strada (1954), che ottenne l’Oscar come Miglior Film Straniero, Fellini dirige Il bidone e Le notti di Cabiria, e prepara quello che sarà il suo capolavoro, La dolce vita (1960), basato sull’esplosione della mondanità a Roma nell’estate del 1958. Per interpretare il giovane paparazzo è chiamato Marcello Mastroianni: il film, prodotto da Angelo Rizzoli, richiese notevoli costi di realizzazione e diventò esso stesso vittima dei paparazzi che ritraeva.  La scena più eclatante e suggestiva, fissatasi nell’immaginario collettivo come uno dei momenti culmine della storia del cinema, è il celebre bagno di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi al grido di “Marcello!”.

Dopo aver diretto l’episodio Le tentazioni del dottor Antonio nel film collettivo Boccaccio ’70 (1962), Fellini dirige un altro dei suoi capolavori, Otto e ½ (1963) sempre con Marcello Mastroianni. Del 1965 è Giulietta degli spiriti, che narra le vicende di una moglie borghese, interpretata da Giulietta Masina, travolta dai sogni e dalle allucinazioni. Dopo aver abbandonato il soggetto di Il viaggio di Mastorna, nel 1968 dirige Toby Dammit, episodio di Tre passi nel delirio, sua unica incursione nel genere horror,  mentre è del 1969 l’onirico Fellini Sayricon, ispirato all’originale racconto di Petronio, che diventerà un cult negli Stati Uniti.  Nel 1972 esce Roma, un omaggio del regista alla sua città d’adozione pieno di ricordi ed immagini inquietanti della contemporaneità, ultima apparizione sul grande schermo di Anna Magnani, seguito dal nostalgico e bellissimo Amarcord (1973), ambientato invece a Rimini, altro Oscar come Miglior Film Straniero.

Negli anni successivi Fellini dirige numerose pellicole, tra le quali spiccano, Il Casanova di Federico Fellini (1976) E la nave va (1983) e Ginger e Fred (1986), mentre è del 1990 l’ultima opera del regista, La voce della luna, una surreale e grottesca invocazione al silenzio e all’immersione nella natura contro la frenesia della vita contemporanea che vede tra i protagonisti Paolo Villaggio e Roberto Benigni.

Federico Fellini si spenge il 31 Ottobre 1993, poco dopo aver ricevuto a Los Angeles l’Oscar alla Carriera.

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