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Bogie, Bigger than Life

Se sulla data di nascita di Humphrey Bogart ha aleggiato per lungo tempo il mistero (si è detto che sia nato il 22 Gennaio 1899, ma che successivamente gli uffici stampa delle Major abbiano modificato la data al 25 Dicembre 1900 per renderla più suggestiva. Basandosi su quello che c’è scritto sulla sua tomba i dubbi scompaiono: Bogie è nato il 25 Dicembre del 1899), il giorno in cui ci ha lasciato prematuramente è certo, esattamente 60 anni fa, il 14 Gennaio 1957. Come è certo lo sconforto che ha lasciato in coloro che lo amavano nella vita e sullo schermo. Uno dei suoi più grandi amici ed il regista che, forse, lo ha fatto risplendere di più nella 7° arte, John Huston, ha dichiarato durante il suo funerale: “Non abbiamo nessun motivo per provare dispiacere per lui che è morto, ma solo per noi stessi, poiché l’abbiamo perso. Bogey era insostituibile. Non ci sarà mai più nessuno come lui».

E chi può dargli torto? Il destino di Humphrey, probabilmente, era quello di diventare un’icona fin da quando sua madre, illustratrice, realizzò da un suo ritratto la sagoma per una nota marca di omogeneizzati, la Mellin. Nonostante questo precoce debutto nel mondo della pop art, Bogart scalpitò alcuni anni tra i libri prima che suo padre chirurgo si convincesse che non avrebbe avuto un erede in famiglia. Pur di non studiare, il giovane Bogart si arruola volontario in marina e rimane invischiato nella 1° guerra mondiale. A quei tempi probabilmente risale la ferita che gli ha provocato la celebre cicatrice sul labbro superiore, e quell’accento irripetibile che lo ha reso protagonista di molte, esilaranti imitazioni. Tornato dalla guerra, Humphrey si getta a capofitto in quella che sente la sua vera vocazione: la recitazione. Prende parte dal 1922 al 1929 a ben 21 produzioni di Broadway, in ruoli principalmente di duro e scansafatiche, e conosce la 1° moglie, l’attrice Helen Menken, con la quale rimane sposato solo un anno. E’ solo il primo dei tanti matrimoni celeri quanto fallimentari di Bogart, animato da cocenti quanto volubili passioni: nel 1928 sposerà un’altra giovane collega, Mary Philips, altra unione turbolenta destinata a non durare. Intanto inizia l’avventura nel cinema: nei primi anni ’30 viene notato dalla Fox e si impegna per 6 film, ma le parti che gli vengono affidate sono secondarie e deludenti. Ancora nessuno si è accorto che vale la pena scommettere su di lui. Torna allora a Broadway dove coltiva amicizie (tra tutte quella con Spencer Tracy e Leslie Howard), finché sarà il grande successo di uno spettacolo, La foresta pietrificata di Robert E. Sherwood, a dargli la parte che gli cambierà la vita. Nei panni di Duke Mantee, un pericoloso killer evaso, Humphrey Bogart riesce finalmente a rivelare a tutti il suo talento, ed inizia la sua ascesa nel firmamento delle stelle più luminose. Allettata dal successo dello spettacolo, che ebbe ben 197 repliche, la Warner Brothers compra i diritti del testo per realizzarne un film, mantiene Leslie Howard nel ruolo del protagonista e affida il ruolo di Duke al suo uomo di punta, Edward G. Robinson: ma Howard non ci sta. Se non fosse stato Bogart a volerlo come protagonista a Broadway adesso non sarebbe nel film: minaccia di uscire anche lui dal cast se non sarà Bogart ad interpretare Duke. La Warner capitola, il film esce nel 1936 e regala a Bogart una sequela di recensioni entusiastiche, ma non la stima della Warner, che, salvo rare eccezioni come Strada sbarrata di Raoul Walsh,  gli affida ruoli preconfezionati da gangster e gli scarti di quello che rifiutano le sue star di punta: lo stesso Robinson, ma anche James Cagney, George Raft e Paul Muni. Sul set de Le cinque schiave nel 1937 Bogart conosce la sua terza moglie, Mayo Methot, dando vita alla sua unione più violenta: identici nel carattere ed entrambi dediti ad alcol e vista sregolata, i due si cimentano in un rapporto autodistruttivo che esplode spesso in scaramucce pubbliche che danno scandalo. Bogart, quindi, inizia a somigliare sempre più, anche nella vita reale, al personaggio di celluloide a cui la Warner lo sta costringendo: non bello, ma affascinante e dannato. Iniziano gli anni ’40, nel 1941 Bogart si conquista ne Il circo insanguinato il suo primo ruolo da protagonista e con Una pallottola per Roy di Raoul Walsh, il riconoscimento pressoché unanime del suo talento: ancora nei panni di un gangster, questa volta l’attore conferisce al ruolo un’aurea di eroismo e maledettismo esistenziale che diventerà la sua cifra caratteristica e finirà per dare profondità  e slancio a tutte le sue interpretazioni future. A sceneggiare il film è il già citato John Huston: la loro amicizia inossidabile e il loro sodalizio artistico prenderà il la da Una pallottola per Roy per esplodere con uno dei film più significativi nella carriera di Bogart ed uno dei capisaldi del genere noir, Il mistero del falco, trasposizione di John Huston, nel suo esordio alla regia, del romanzo di Dashiell Hammett. La rappresentazione iconica di Humphrey Bogart nell’Olimpo delle star ha tutte le caratteristiche del personaggio di Sam Spade: sigaretta che pende all’angolo della bocca, cappello a tesa larga, impermeabile chiaro, sorriso a denti stretti con cicatrice annessa (se lo ricorderanno e lo emuleranno in parecchi: uno tra tutti Jean-Paul Belmondo in Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard).  Il 1942 è l’anno di un altro CULT che Bogart accetta inconsapevolmente, Casablanca di Michael Curtiz, che vincerà 3 Oscar, varrà a Bogart la sua prima Nomination, e diventerà uno dei più grandi capolavori della storia del cinema. Con Acque del sud (1944) Bogart finisce definitivamente la relazione con la Methot e conosce Lauren Bacall, allora solo 19enne, che si rivelerà, oltre che un’ottima compagna di set (Il grande sonno, altro grande capolavoro noir, La fuga, L’isola di corallo) anche la donna della sua vita. I due si sposano nel 1945 e dalla loro unione nasceranno due figli, Stephen e Leslie Howard Bogart (in omaggio al grande amico attore scomparso in guerra). Almeno in amore, Bogart trova la pace: i due affronteranno insieme  gli anni della Caccia alle Streghe, poiché sospettati di essere simpatizzanti dei comunisti, lavorando per un periodo alla radio per ovviare all’ostracismo delle major. Dopo aver preso parte al thriller Nebbie di Curtis Bernhardt nel 1945, nel 1948 Huston dirige nuovamente l’amico in un altro grande film, Il tesoro della Sierra Madre, 3 Oscar e nessuno, ancora, per il nostro Bogie. Ma l’attore non si scoraggia: fonda una casa di produzione, si lascia dirigere da Nicholas Ray ne I bassifondi di San Francisco (1949) e centra nuovamente l’obbiettivo insieme a Huston ne La regina d’Africa al fianco di Katherine Hepburn, primo suo film a colori e il primo (e l’unico) che gli consegnerà l’ambito Oscar, soffiato a Marlon Brando, grande favorito per Un tram chiamato desiderio. A questo punto Bogart può permettersi di scegliere i ruoli che desidera: seguirà Huston in Italia per Il tesoro dell’Africa, con un cast che comprende la nostra Gina Lollobrigida, e affiancherà Audrey Hepburn in Sabrina di Billy Wilder, in un ruolo che forse non è tra i suoi più riusciti, per il quale Bogart subentrò dopo il forfait del più giovane e calzante Cary Grant. Con Ore disperate (1955) di William Wyler, torna al genere che fece la sua fortuna, il gangster movie: nei panni un killer spietato evaso di prigione che tiene in ostaggio una famiglia con figlio Bogart ritrova lo slancio delle sue interpretazioni migliori. Purtroppo, però, questo slancio  è destinato a non durare a lungo: durante le riprese de Il colosso d’argilla, Bogart accusa i primi sintomi di quello che si rivelerà un tumore alla gola che, nel giro di due anni, se lo porterà via. E’ il 14 Gennaio 1957, appunto, il giorno in cui questo piccolo uomo senza occhi azzurri, scorbutico e un po’ irascibile, lascia questo mondo dopo averci trafitto il cuore, scrivendo a chiare lettere la sua traccia indelebile nella storia del cinema.

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