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The Tribe

L’esordio dell’ucraino Myroslav Slaboshpytskiy non può lasciare indifferenti: The Tribe è un film che colpisce allo stomaco e si insinua dentro di te lentamente, il tempo necessario per cominciare, a poco a poco, a capire il suo linguaggio. E per linguaggio non si intende quello dei segni, che è l’unica lingua con la quale si esprimono tutti i personaggi durante tutto il film,  non sottotitolata per decisione del regista, ma quello che le immagini, grazie anche anche all’assenza di dialoghi come li intendiamo noi, riesce a comunicare. Anche costringendoci ad ascoltare tutti gli altri suoni in maniera espansa, a vedere le scene attivando un senso diverso da quello consueto.

La storia è molto semplice e molto cruda: Sergey, affetto da sordità, arriva in un collegio per ragazzi affetti dalla stessa problematica. Capisce fin da subito che non sarà facile integrarsi: nell’istituto domina incontrastata la legge del branco. Prima Sergey deve essere iniziato con una serie di atti di bullismo, una volta parte del gruppo deve attenersi a certe regole. Come quella di favorire la prostituzione delle due ragazze più attraenti dell’istituto, che ogni sera vengono portate in un’area di sosta per camionisti a vendersi sotto il controllo dei maschi. Una di queste due ragazze è Anya, di cui Sergey si innamora, ricambiato.  Ma l’amore scompiglia tutto, e rende impossibile seguire altre regole se non  quelle del cuore. Il sistema quindi si sgretola, e i già fragili equilibri esplodono.

“Con tutta la sua apparente semplicità e violenza, questo è un film incentrato su ragazzi molto giovani. In giovane età si è capaci di sentimenti duri e puri: amore, odio, furia, rabbia, disperazione. Non c’è bisogno di parole per esprimere queste emozioni. Vedo questo film come una storia di amore e iniziazione: una storia sul passaggio alla vita adulta in un mondo crudele.”  racconta il regista, che riguardo alla scelta di utilizzare solo il linguaggio dei segni spiega:

“Era un mio vecchio sogno rendere omaggio al cinema muto. Realizzare un film che potesse essere compreso senza che nessuna parola venisse pronunciata. Non che stessi pensando a qualche tipo di film “esistenzialista” europeo in cui gli eroi rimangono in silenzio per metà del film. Nei film muti gli attori non erano muti, anzi, comunicavano attivamente attraverso le azioni e il linguaggio del corpo. Riuscivano a comunicare emozioni e sentimenti senza pronunciare una sola frase e, non a caso, la maggior parte delle stelle del cinema muto veniva dalla mimica. Questo è il motivo per cui ho sempre voluto realizzare un film sulla vita dei sordi. Senza dialoghi e senza sottotitoli. E con la partecipazione di veri sordi.”                                                                                              

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