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In esclusiva per voi un estratto dal libro su Seijun Suzuki!

Questa volta la posta in gioco è alta: una Edizione Deluxe di un CULT diretto da uno dei registi più trasgressivi ed originali del cinema giapponese, i cui film hanno ispirato autori come Quentin Tarantino e Jim Jarmusch. Per realizzare l’Edizione Speciale e Limitata de La farfalla sul mirino di Seijun Suzuki dobbiamo ancora farne di strada: abbiamo bisogno di te!

In anteprima assoluta trovi qui sotto un estratto dal libro di Tom Vick Oltre lo spazio e il tempo. I film di Seijun Suzuki (Time and Place are Nonsense, The Films of Seijun Suzuki, Smithsonian Institution, 2015), una panoramica esaustiva e avvincente dell’opera omnia del grande regista, tradotto ed editato per questa occasione dalla stessa CG Entertaiment.

LE GOCCE CHE FECERO TRABOCCARE IL VASO: TOKYO DRIFTER E LA FARFALLA SUL MIRINO

L’abitudine di Suzuki di modificare le sceneggiature che gli venivano consegnate per massimizzare l’azione e amplificare la spettacolarità, spesso a spese della coerenza narrativa, raggiunse l’apice dell’assurdo in Tokyo Drifter, che è sicuramente l’opera più folle all’interno dei film di eroi solitari di Nikkatsu Action. Suzuki deve aver veramente scherzato quando diceva che dopo Tattooed Life si sarebbe ridimensionato.

Tokyo Drifter inizia in modo più sperimentale che commerciale: scene di apertura piene di grana, molto contrastate, in bianco e nero, girate su pellicola scaduta. Suzuki non sapeva quale sarebbe stato il risultato finale. L’effetto si scolla dallo sviluppo narrativo, enfatizzando il film come contenitore d’illusioni e come sostanza fisica soggetta a decadimento e manipolazione. La trama, volutamente complessa nell’innescare eventi semplici, vede l’attore Tatsuya Watari, star della canzone del tempo, nei panni di Tetsu, un membro della Yakuza che tenta di lasciarsi alle spalle la vita criminale e diventa un vagabondo. La storia è sostanzialmente un MacGuffin, un modo in cui Suzuki mette insieme tanti pezzi disomogenei per realizzare un plot western americano (completo di zuffa nel saloon). Tetsu, in un pacchiano completo celeste, cerca di sfuggire a vari gruppi di criminali attraverso una successione di ambientazioni astratte che hanno poco a che fare l’una con l’altra. Nikkatsu voleva utilizzare il film come veicolo della canzone che ne costituiva il tema musicale, così a Suzuki “venne detto di inserirla il più possibile. Quando usi una canzone del genere, la storia non importa più.” Lavorando con un budget ridotto come punizione per Tattooed Life, Suzuki e Kimura misero insieme scenografie minimali e barocche allo stesso tempo. Esse raggiungono l’effetto culminante in una sequenza finale di battaglia che ha luogo in un’ampia stanza bianca dominata da una scultura a forma di ciambella che cambia colore man mano che l’azione s’inasprisce.

Tokyo Drifter utilizza il nonsense per scardinare deliberatamente il genere gangster. L’affermazione di Tony Rayns per cui Suzuki non ha mai stravolto il genere può essere applicata ai film che sono venuti prima, ma non a questo. Nikolaus Vyrzidis ha riassunto bene la cosa: ”Con influenze che variano dalla Pop Art ai musical hollywoodiani anni Cinquanta, dalla commedia dell’assurdo e della farsa al Surrealismo, Suzuki mette in mostra delle acrobazie formali in un film che intende chiaramente deridere invece che celebrare il genere Yakuza.”

Isolde Standish considerò rivoluzionario il film, da un lato perché deride gli eroi gangster, tradizionalmente rappresentati in associazione al codice cavalleresco, dall’altro perché mette in correlazione il mondo del crimine con quello degli affari. Dei film di gangster di Suzuki, in generale, Standish scrisse: “Entrando nel dettaglio storico e gettando una correlazione tra i film e la realtà di corruzione delle aziende, evidente dai media del tempo, le sue opere perdono il senso di ambiguità divenendo sovversive.” Questo afflato rivoluzionario affascinò gli studenti attivisti che seguirono il suo lavoro, mentre si alienava le simpatie dei colletti bianchi più conservatori,  su tutti il boss di Nikkatsu, Kyusaku Hori.”

Al contrario, La farfalla sul mirino ha un impianto narrativo che tiene in modo sorprendente, considerando il caos da cui prende origine. Sappiamo chi il killer Hanada sta tentando di uccidere, chi vuole uccidere lui, e per quali ragioni, e ci sono differenti obiettivi che vengono precisamente elencati dai vari “ranghi” dell’organizzazione degli assassini. Ma anche questo sfocia in parodia. Perché attribuire ai personaggi le solite motivazioni quando è possibile dar loro un numero e una pistola e lasciare che si arrangino?

Se, in altri film di Suzuki, lo stato mentale dei personaggi viene visualizzato attraverso l’uso non convenzionale del colore, della luce e di altri effetti visivi, nella Farfalla è esso stesso a motivare la messa in scena, contagiando il film con la sua pazzia. Il principale esempio è il folle appartamento di Misako, decorato di farfalle, una rappresentazione visiva delle misteriose stranezze della donna. Suzuki disse che non ci sono un tempo e uno spazio definiti ne La farfalla, all’opposto di quanto accade nei film “normali”. Questo regala alla narrazione una libertà creativa quasi decadente. Sollevati dalle motivazioni convenzionali, i personaggi possono fare ciò che vogliono in ogni momento. Sono astratti come solo gli umani sanno essere. Anche la città è un’astrazione, ridotta com’è a un impianto di righe verticali in bianco e nero, molto più pulite nella loro geometria rispetto alla baraonda dei primi film. Nelle pellicole del periodo finale di Nikkatsu, l’insistenza sull’astrazione raggiunge il punto più elevato.

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