
L’ascesa di Allen inizia non dietro la macchina da presa, ma sul palco, come cabarettista e autore di testi comici. Questa formazione si riflette pienamente nei suoi primi lavori, caratterizzati da un umorismo surreale e anarchico. Film come Prendi i soldi e scappa (1969) e Il dittatore dello stato libero di Bananas (1971) sono esercizi di comicità pura, che stabiliscono il suo inconfondibile stile basato sul “piccolo uomo” nevrotico e intellettuale, in perenne lotta con il mondo e le sue assurde convenzioni.

Dalle nevrosi urbane alla satira sul cinema
Gli anni ’80 segnano un periodo di sperimentazione e un progressivo allontanamento dalla comicità pura per abbracciare toni più drammatici e filosofici. Hannah e le sue sorelle (1986) è un sofisticato ritratto corale che tocca temi come l’ipocondria, la ricerca spirituale e la famiglia. Parallelamente, con pellicole come Crimini e misfatti (1989), Allen esplora la moralità e la colpa, ponendo domande esistenziali profonde.
Gli anni ’90 e l’inizio del Duemila vedono Allen in una fase di grande versatilità. Con Pallottole su Broadway (1994), dirige una brillante commedia che omaggia il teatro e ironizza sul processo creativo, ottenendo una nomination all’Oscar per la miglior sceneggiatura. Il gioco metacinematografico prosegue con la satira sulla celebrità in Celebrity (1998), film in bianco e nero che osserva con cinismo la fame di fama. Non mancano le incursioni nel musical leggero con Tutti dicono I Love You (1996) e i ritorni alla commedia pura, come in Criminali da strapazzo (2000), una farsa sul fallimento di una banda di rapinatori dilettanti che sottolinea il suo amore per la comicità slapstick. In questo periodo, spicca anche La dea dell’amore (1995), una commedia che gioca con il mito e il teatro greco per analizzare i complessi rapporti moderni.
La fase europea e la nostalgia per l’arte

Anche in età avanzata, il regista ha continuato a indagare la vita e l’arte con lo stesso sguardo agrodolce. Rifkin’s Festival (2020), ad esempio, rappresenta un omaggio sognante al cinema classico europeo, in particolare a Bergman, ambientato durante il Festival di San Sebastián, dove il protagonista, un ex critico cinematografico, riflette sulla sua vita attraverso sequenze oniriche che citano i grandi maestri.
In tutti questi anni il genio cinematografico di Woody Allen non si è mai fermato, sfornando un film all’anno per gran parte della sua carriera. Il suo cinema è un patrimonio culturale inestimabile, un’ode all’intelletto, un catalogo di innamoramenti e delusioni, e una continua, ossessiva indagine sull’essere umano, sempre condotta con lo sguardo acuto e disperatamente divertito dell’artista con gli occhiali.



